Il mondo è bello perché è un continuo loop di tendenze che vengono, vanno, ritornano e magari si fermano (se non cogliete la citazione io non ve la svelo). Ed è questo il caso delle tradwives, ovvero un nuovo trend nato in Inghilterra che vede sempre più donne scegliere di tornare ad essere casalinghe, anzi “mogli tradizionali”, traducendo alla lettera.
Tradwife: la moglie tradizionale
Per moglie tradizionale viene intesa una donna che non lavora, rimane a casa a pensare al suo andamento e alla crescita dei figli. Per molti questo può apparire un bizzarro anacronismo, e la scelta di essere una tradwife viene da molti identificata come “sottomissione verso il marito”, immaginando casalinghe anni ’50 che passano le giornate a smaltarsi le unghie coi bigodini, in attesa che torni il maritino per servirgli un Martini ghiacciato, probabilmente strafatte di Valium e alcolici.
Immagino che anche la pandemia abbia avuto il suo peso: tanti di noi si sono improvvisati panificatori, arredatori, chef, restauratori durante il forzato lockdown, e forse in qualcuno/a la voglia di reagire in modo attivo si è combinata con l’occuparsi al meglio e felicemente di tutto questo (mostrando continuamente al mondo i propri successi casalinghi). Ovviamente il ritorno a questo tradizionalismo femminile è oggetto di pesante sarcasmo da parte di tutto il fronte femminista, ma la risposta della Pettitt è ineccepibile: “la mia visione del femminismo è che sia fondato sulle scelte. Dirmi che devo andare a farmi strada nel mondo del lavoro e che non mi è permesso rimanere a casa, sarebbe privarmi di una scelta”.
La mia visione delle Tradwives
Non conosco abbastanza il fenomeno per escludere che al suo interno non ci siano ANCHE delle frange politico/religiose conservatrici che inneggino a un tipo di vita retrò (comprese quelle neomamme che da anni apostrofiamo ironicamente col nome di Pancine) ma credo che dietro ci sia anche altro e si chiama Crisi Economica.
Una cosa è tentare una luminosa e gratificante carriera, un’altra è andare in giro a fare le consegne per Amazon, a lavorare in un call center, a fare la cassiera sottopagata in un supermercato con orari assurdi, prendendosi tutto questo “sbatti” per poi consegnare la paga a una/un baby sitter (lavorare per 5 euro l’ora per poi darne 10 ad altri non è il top) aggiungendoci pure le spese di spostamenti e pranzi fuori. Quindi facendo di necessità virtù, meglio qualificarsi mestamente come “disoccupata” o meglio definirsi casalinga con orgoglio? Come diceva prima l’influencer inglese, si tratta di una scelta.
Inoltre, ascoltando da anni le storie di donne e uomini over 40 grazie al mio gruppo facebook per single, posso immaginare una sorta di “riflusso”. Quando si discorre con persone che hanno alle spalle matrimoni e convivenze fallite, le visioni sono bipolari: da una parte cinismo e pessimismo circa le relazioni (sia lunghe che brevi), dall’altra un romanticismo disneyano verso la storia amore “che ci meriteremmo”.
Non è la mia opinione, perché naturalmente io auspico un mondo dove entrambi i partner possano avere tutta l’indipendenza economica che serve, ma posso arrivare a comprendere che le motivazioni che ci sono dietro non sono necessariamente dettate da un’improvvisa voglia di divenire “sottomesse serve del patriarca” (ma quando mai!).