C’è un errore comune sia ai single che a chi fa parte di una coppia, ed è quello di isolarsi. Il/la single si concentra in modo maniacale sulla relazione del momento, vedendola come unico spiraglio di vita in una quotidianità di fatto solitaria. La coppia stabile invece si chiude a riccio nel proprio Coppiamondo e diventa a volte insofferente ed estremamente critica verso il mondo esterno (questo accade quando due persone invece che sommare le proprie aperture e interessi, vanno in sottrazione, impoverendo sempre di più la propria sfera).
Non siamo più dei giovinetti, e quindi diventa sempre più realistico lo spettro di rispecchiarsi nel Clint Eastwood di Gran Torino, ovvero di diventare persone sole e anziane sempre più arrabbiate e insofferenti. Del resto è un’età dove i nostri genitori si avviano verso la fine, non abbiamo figli (o se li abbiamo, non vivono con noi) e quindi dovremmo sforzarci di costruire un universo alternativo che sia più stabile e duraturo di una relazione.
Chi mi legge da tempo sa che nonostante il mio inguaribile cinismo alla fine ho sempre promosso un’attitudine romantica da film disneyano, proprio perché per me rappresenta l’unico vero riscatto da un personale background familiare che da sempre ho associato a fallimento e rovina. Ed essere realista è una delle cose che odio di più al mondo, avendo una natura da sognatore.
Ho sempre ascoltato con molto scetticismo quegli amici che pianificavano un futuro di co-housing e che sognavano di mettere in piedi piccole “comuni” di conoscenti che potessero sostenersi tra loro. Oggi questa idea mi appare un po’ meno pazzariella e non la ritengo più così bislacca.
Abitiamo del resto in quella che viene definita una società liquida, con lavori liquidi, relazioni liquide, abitazioni liquide. Sembra che le cose troppo grandi, stabili, pesanti, siano destinate a non sopravvivere, come accadde ai mammuth, sconfitti da animali più veloci, flessibili, adattabili. Noi over 40 e over 50 ci troviamo in una sorta di mondo di mezzo, sospesi tra la generazione passata votata alla stabilità ad ogni costo e quella futura, dove la qualità più vincente sembra essere quella dell’intercambiabilità e del non volersi definire.
Ma ora non è il momento di scrivere un saggio sociologico su tempi passati e tempi moderni, bensì quello di scegliere cosa fare di questa parte della nostra vita. Adoro quella canzone di Fossati che si chiama C’è tempo, ma ho ogni giorno di più la sensazione che questo non sia infinito.