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maschio cisgender

Io, Grande Maschio Bianco, Etero e Cisgender

Giugno 25, 2020

Quando ero ragazzo, disprezzavo il termine WASP (White Anglo Saxon Protestant), come si definivano i cosiddetti privilegiati americani, razzisti e puristi della razza, che poi di quale razza non si sa. Oggi sento parlare della supremazia del Maschio Bianco Etero più o meno con gli stessi toni, da frange estremiste di guerrafondaie.


uomo machoQuindi ho finalmente capito di essere un privilegiato, un dominatore nato, un uomo che non deve chiedere mai e per il quale la vita è solo un campo di margherite da cogliere come gli pare e piace, un semidio in mezzo alla plebe in catene. Rimpiango solo di non averlo capito prima, che qua mi pareva fossimo una mandria di sfigati come tutti gli altri, non avevo evidentemente colto le potenzialità ereditate per legge divina.

Noi maschi etero bianchi che, da quanto leggo, quotidianamente pratichiamo il catcalling (ovvero non lasciamo impunita nessuna passante bella o brutta “regalandole” sonori fischi alle spalle, esclamando “sciao bellissima come ti intitoli?”), che abbiamo l’impudenza di ritenerci cisgender (persona che si riconosce nel sesso con il quale è nato/a, ovvero la sua sessualità coincide con la sua identità di genere), insomma siamo tipo i nazisti dell’Illinois citati in Blues Brothers.

Noi che, a quanto dicono le suffragette, perseveriamo nel mansplaining (uomo che ritiene di dover spiegare a una donna come fare le cose), mentre tutti noi conosciamo l’aria di sfiducia di una donna mentre ci affida la lista della spesa, già sapendo dove falliremo. Dovremmo ogni giorno espiare il nostro privilegio di nascita chiedendo scusa al resto del mondo a capo chino, come membri del Ku Klux Klan ravveduti.

Eppure a casa dei miei di certo non “comandava” mio padre. Lo stesso vale per casa dei miei zii, per casa di mio fratello, per quella dei miei amici, e ovviamente, per la mia. E non abitavo in illuminate metropoli radical chic, ma nel profondo sud. Eppure oggi, nel 2020, a qualcuna piace raccontare che la condizione della donna italiana sia generalmente simile a quella della Mamy di Via col Vento, al fine di vendere qualche libro o estorcere like facili, e questo mi piace poco.

donna arrabbiataHo 48 anni, apprezzo i tentativi di svecchiare il mondo e renderlo rapidamente un posto migliore per tutti, ma la mia età mi consente anche di sapere che il mondo non è quel “con noi o contro di noi” che è facile raccontare sui social. Che quella che oggi viene definita mascolinità tossica non è tutta farina del nostro sacco (“hai visto come mi ha guardato e non gli rompi il muso? Ho guardato mezz’ora quell’oggetto in vetrina e non me lo hai comprato? Che vuol dire che non puoi accompagnarmi sempre? Non hai visto quella troia come ti sorride? Cioè, cosa vuol dire che dovremmo pagare a metà?“).

Noi maschi bianchi etero, i Grandi Gabi Bianghi, abbiamo incontrato donne meravigliose ma anche madri castranti, arpie spietate, scroccone, narcisette di Instagram, traditrici seriali, siamo stati sbeffeggiati in pubblico e privato per qualunque vera o presunta defaillance sessuale, ma non per questo facciamo la guerra.

Noi che siamo stati vicini a donne sofferenti, vittime di molestie vere, dovremmo oggi sentirci nazisti dell’Illinois se sosteniamo che tra un “ciao quanto sei bella” (approccio che non condivido e non pratico) e un femminicidio c’è qualche differenza. Se proviamo una rabbia immensa per la commessa con tre figli indotta a “essere carina” col titolare, e non ne proviamo affatto per la ricca attrice incapace che per anni si infilata nel letto del viscido produttore e dopo 20 anni “trova finalmente il coraggio” di riciclarsi come regina delle Ultime mostrando un liberatorio dito medio ma guardandosi bene dal restituire i cachet.

lgbt donnaNoi che cerchiamo una terza via tra il passato dei nonni che abbiamo sempre rifiutato, e un futuro intitolato allo scontro di genere che viene istericamente bramato da alcune, siamo il Nemico. Siamo nemico solo per il fatto di possedere un pene etero, e le donne che come noi cercano la terza via sono aggredite dalle tank girl in quanto “vittime del patriarcato che hanno subito il lavaggio del cervello”. Dove sia questo patriarcato ancora non l’ho capito, e consapevole di pestare un merdaio posso asserire che se oggi per strada qualcuno mi dovesse ringhiare a brutto muso “se guardi ancora la mia tipa ti spacco un braccio”, al 90% NON sarebbe un maschio cisgender.

Nel mio gruppo Facebook per single, siamo circa 1000 iscritti, in maggioranza donne. E’ uno spaccato ampio che quotidianamente si confronta sulle tematiche uomo/donna, e non vedo Mamy in giro. Vedo semmai persone di entrambi i sessi con un passato difficile (siamo per lo più over 40) che cercano disperatamente e finalmente un punto di incontro, un dialogo efficace, rispettiva comprensione e adattamento reciproco. E che sanno, pur avendo storie di incomprensione alle spalle, che giocare alla guerra non risolverà nessuno dei loro problemi. Di stronzi e stronze è pieno il mondo, bisogna scegliere se focalizzare tutta la nostra vita su di loro, o se invece svegliarsi e cercare qualcosa di meglio, insieme.

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COMMENTI 3
  • Novembre 30, 2020 at 12:37 pm
    Ilaria

    Ciao,
    se cerchi davvero un punto di incontro, ti suggerisco di allargare il tuo sguardo, di andare più in profondità, di non pensare che il fatto di provare empatia per la dipendente del supermercato che deve sottostare alle molestie del datore di lavoro per mantenere il lavoro ti renda un uomo che sa mettersi nei panni di una donna. Mettersi nei panni di una donna richiede uno sforzo maggiore.
    Questo lo dico perché, come donna, sono stata cresciuta (anche) con l’idea che per il fatto di esserlo e per esserlo al meglio io dovessi essere in grado, ad esempio, di fare la spesa al supermercato. Non perché avessi dei genitori particolarmente vessanti, ma perché i miei giocattoli comprendevano frutta e confezioni di latte in plastica con le quali simulare una visita al supermercato, per imitare la mia mamma. E mia madre, a sua volta, essendo nata nei primi anni ’60, ha frequentato negli anni della scuola elementare lezioni di economia domestica. Cosa avrebbe potuto insegnarmi, essendo lei deputata alla gestione della mia crescita, il modo in cui guidare un treno? Quello viene insegnato ai bambini, dai padri o dai nonni. O dai libri che leggono, che parlano di avventure o di animali selvaggi. I libri per le bambine parlano di mondi incantati (non mondi magici e avventurosi, ma scintillanti e fatati) e di innamoramenti.
    Per favore, non spaventarti se le donne che incontri ti sembrano desiderare “troppo”. Le donne, semplicemente, stanno cercando in tutti i modi e da troppo tempo senza successo, di essere considerate “giuste” pur essendo esseri desideranti.
    Non “giuste” solo se esseri fragili da proteggere, ma anche se esseri volitivi. Esattamente come accade per gli uomini.
    Le donne sono buone, le donne sono arpie. Gli uomini sono buoni, gli uomini sono diabolici. Entrambe le parti coesistono in entrambi. Bisogna ricordarsi questo.

    Un saluto,
    Ilaria

    • Novembre 30, 2020 at 1:39 pm
      Vadoaviveredasolo

      Ciao Ilaria, apprezzo il tuo intervento (anche) perché pacato, caratteristica che purtroppo ho visto raramente invece nell’universo del “neofemminismo” che cresce sul web e sui social in particolare. E che, con la sua incredibile acredine, condita spesso da ottusità, mi ha fatto venire la voglia di scrivere questo post. Sul fatto che tu abbia imparato a fare la spesa o abbia ricevuto lezioni di economia domestica, non ne farei un dramma: erano altri tempi sia per i ragazzi che per le ragazze, e non credere che nel processo di crescita anche tanti maschietti non abbiano sofferto nell’imposizione di modelli, con la differenza che se la “femmina ribelle” si meritava l’appellativo di “maschiaccio”, spesso detto con tono simpatico e gagliardo, al “maschietto ribelle” toccava quello di “femminuccia”, ovvero un vero e proprio stigma sociale detto per screditare e denigrare (intendo dire che i modelli imposti ai maschietti erano altrettanto rigidi se non ancora più rigidi)). Ho 49 anni, non mi spavento se incontro donne che desiderano “troppo”, e ti avverto che stai facendo quello che le Sorelle amano chiamare Mansplaining, ovvero spiegare qualcosa a qualcuno solo perché, in questo caso, è uomo. Straconcordo sul fatto che esistano mostri e arpie, e grosso modo su quello verteva questo post. Il problema è che oggi esprimere un pensiero al maschile è diventato strano, fuori moda, da boomer (altra parolina amata dalle giovani neofemministe) e quindi l’uomo si astiene, lasciando il campo unicamente a un pensiero femminile, che purtroppo talvolta viene espresso da frange estremiste di rincoglionite che a 20 anni (e con fare da scaricatrici di porto), credono di poter pontificare in materia. Sostengo fortemente il bisogno e l’urgenza di tornare a esprimere un pensiero maschile con altrettanto entusiasmo, ovviamente un pensiero calato nell’epoca nella quale viviamo, perché fa comodo pensare che l’unico pensiero maschile possibile sia quello dei filmetti anni ’70. Un caro saluto a te, Marco

  • Dicembre 2, 2020 at 11:30 am
    Ilaria

    Ciao Marco, vorrei provare ad intravedere un punto di incontro nelle tue parole e lo vedo nel tuo parlare di modelli. Prima di questo voglio evidenziare che il tuo sminuire la mia sofferenza da bambina mi fa l’effetto di una imposizione di idee, è un modo di porsi aggressivo che non invita al dialogo.
    Il fulcro del discorso sono proprio i modelli: alcuni modelli (sii forte, sii coraggioso, non piangere, prosegui non è successo niente) sono per certi aspetti molto più funzionali allo svolgimento della vita “vissuta”.
    Se l’educazione dei bambini/e fosse a-genderizzata, forse avremmo delle possibilità maggiori di dialogo, dopo, da adulti.
    Proseguo dicendo che io non ho affermato che i bambini – i maschi- non vengano formati secondo modelli che li confinano dentro schemi rigidi. Quegli schemi rigidi che vengono utilizzati sono dei limiti per lo sviluppo della personalità, per tutti e tutte e questo è un assunto da tenere ben in mente come premessa per un possibile dialogo.
    Prendendo spunto dal tuo esempio sulla lista della spesa ho affermato che e, aggiungo, secondo la mia personale esperienza – che di questo si tratta sempre – se un maschio adulto si sente implicitamente e preventivamente giudicato nel momento in cui si accinge ad andare a fare la spesa, è proprio perché è vittima di un modello (e del modello interiorizzato a sua volta dalla donna). “Sii perfetta, stai in ordine. Non dare fastidio, non importi.” Ecco cosa c’è alla base della non accettazione di un prodotto sbagliato sulla lista della spesa. (Diamine in una competenza so di essere specializzata, ti affido il [mio] compito e tu sbagli?).
    E tu, Marco, quanto ti incazzi se una tua compagna lesiona la tua macchina mentre parcheggia?
    Non sono gli anni ’70, eppure le scarpe delle bambine continuano ad esse bianche e rosa pallido, mentre quelle dei bambini sono blu, rosse, giallo scuro. Chi tra i due potrà nascondere di aver infranto una regola cammimando sul terriccio perimetrale del marciapiede? Chi si beccherà un “hai le scarpe sporche, perché hai calpestato il terricio?Stai dove ti metto, e posso anche controllare che tu lo faccia” Chi, invece, imparerà che può anche fare come dice lui, senza che qualcuno debba imporre un veto? Tanto sul blu si vede di meno il terriccio.
    Un po’ di womansplaining va bene, dopo secoli di mansplaining. Mi dispiace indisporti, questi discorsi vanno affrontati fino a quando non si troverà un “universalsplaining”, un linguaggio comune.
    Perché una giovane donna non può avere il piglio di una scaricatice di porto? “Femminuccia!” è un insulto umiliante che sottintende debolezza. “Maschiaccio!” è un insulto quasi goliardico che sottintende audacia, ribellione e forse anche una punta di astuzia.
    Ovvio che la 20enne “con il piglio della scaricatice di porto”, come dici tu, brami di essere un maschiaccio e rigetti l’idea di dialogare in maniera pacata. Essere pacate, non ha portato nulla alle donne. Ha portato la frustrazione di potersi sfogare solo in casa, rompendo le scatole ai mariti che sbriciolano per terra mentre mangiano. Tua madre comandava? In che modo? Come in quella frase di certi quadretti “Il padrone di casa sono io, chi comanda è mia moglie”? A chi era intestata la vostra casa?
    Perché, al sud, se un’ anziana muore sul necrologio è specificato “vedova di”, mentre, se muore l’uomo, non leggi “vedovo di”. – “DI” – (lo intravedi, il “patriarcato”?) A volte, per gli uomini anziani leggi “cavaliere del lavoro”. Quegli anziani sono i nostri nonni, i nostri genitori.
    Certo, non mi rifaccio ai filmetti che offrono idee stereotipate, certo oggi ci sono le avvocate, le ingegnere, le ministre, le sindache, le donne capo di governo. Ma lo vedi dove feconda la rabbia delle donne? Le donne capo, non le cape. “Capo” è maschile singolare, “capa”, dalle mie parti sta per “testa di m@#&”. E, le parole, contano, si stratificano dentro. Come un “femminuccia” detto al ragazzino.
    E ora mi avvalgo della presunzione di darti un consiglio: allarga ancora di più la riflessione. Il programma televisivo di rai due (ok, prontamente cancellato con scuse annesse) non sono gli anni ’70. Gli articoli di giornale che parlano di “una donna” senza specificare il nome nel titolo o senza scriverne il cognome, non sono gli anni’ 70. I testi scolastici delle elementari che dipingono le donne in casa e gli uomini in viaggio di lavoro non sono gli anni ’70. Il grembiule scolastico da bambina con il disegno della bocca rosso fuoco mentre la versione da bambino ha la squadra e il righello, non sono gli anni’ 70. Le battute che sessualizzano la donna, le battute che femminilizzano l’uomo, non sono gli anni ’70.
    Non sono “i filmetti dgli anni’ 70”. Sono “le persone” che li hanno fatti, che hanno educato i loro figli e che sono ancora tra noi.
    Se ci siete, uomini diversi, fatevi sentire fuori dai luoghi comuni. Accettate il fastidio di qualcuna che mette in dubbio gli schemi, pur bruscamente.

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