Da qualche anno ipotizzo che la mia morte avverrà dopo uno scivolone in doccia, e che il mio cadavere di single verrà ritrovato dal recupero crediti di Amazon. Continuo a pensarla così, nonostante oggi molti pensino che moriremo tutti a causa del Coronavirus.
Tutto vero, perché un single ha sicuramente meno possibilità di venir contagiato rispetto a una famiglia che deve interagire con scuola, amici dei figli, attività extrascolastiche, spesa quotidiana, e una marea di altri impegni. Vivi da solo, magari lavori anche da casa, nei casi peggiori neanche scopi, e quindi la tua vita è già molto simile a Io sono Leggenda, non c’è bisogno neanche dei consigli dei virologi di Facebook laureati all’Università della Vita.
Personalmente credo che esattamente come l’attesa del piacere sia essa stessa il piacere, il panico del Coronavirus sia esso stesso il Coronavirus. Non mi lancio in nessuna teoria complottista, o al contrario irridente, ma mi limito a dire che invece proprio in questi momenti serve cercare il contatto umano invece che l’isolamento ansiogeno. Ovviamente parlo di contatto a distanza, virtuale, telematico, ma contatto. Anche perché a cosa serve rimanere gli unici sopravvissuti, a guardare fuori dallo spioncino col fucile carico?
Mi piace semmai prendere spunto dal Decamerone di Boccaccio (che riassumo per chi di voi in vita sua ha solo letto meme di Alda Merini e Fabio Volo): durante l’epidemia di peste di Firenze del 1348, dieci giovani decidono di rinchiudersi insieme in un luogo di campagna per esorcizzare la crisi dedicandosi a bere, mangiare, ballare, trombare, chiacchierare e godersi la vita, aspettando che il mondo esterno guarisca da quel momento terribile. O in alternativa, a celebrare degnamente gli ultimi giorni dell’umanità aspettando l’inevitabile.
Anzi, di approfittare di questi eventi proprio per riflettere sulla caducità dell’esistenza, e su quanto sia importante trascorrere dei bei momenti dato che non avremo una seconda vita per farlo, senza passare la vita a rimandare tutto a domani o a farsi gigantesche pippe sul male di vivere. Per una volta usiamoli bene questi momenti di paura collettiva, per smuoverci dai nostri limiti e dal nostro torpore.
Consiglio quindi di evitare a tutti i costi le ansie immotivate, il rifiuto dell’altro, e invece di coltivare come e più di prima i rapporti umani, nei nuovi modi che la tecnologia ci mette a disposizione. Alzarsi la mattina per seguire la conta dei morti su Repubblica e scolarsi un boccione di vino non serve a niente. Sperare, credere, continuare a riappropriarci della nostra vita, fosse anche con le lezioni di yoga online, pornochiamate, scritture epistolari, preparazione di torte di mele e imperdibili eventi su Zoom, ha un senso. Non sarà il Decamerone, ma viviamolo come se lo fosse.