Mi piace pensare che la definizione relazioni tossiche possa nascere da una canzone del 1951, che per altro le descrive splendidamente. Parlo ovviamente di Malafemmena di Totò, che recita così: “Femmena, si tu peggio ‘e na vipera, m’e ‘ntussecata l’anema, nun pozzo cchiù campà”. Bastano queste parole per racchiudere il senso di una relazione tossica, ovvero lo stato di non-vita nel quale piomba la vittima, come fosse soggiogata da un malocchio, e il disprezzo nei confronti dell’amata, cosa che dovrebbe essere un ossimoro ma ahinoi a volte non lo è.
Se lo avessi fatto a un altro, lui ti avrebbe uccisa dice. E intende dire che si sente debole e inferiore rispetto a qualsiasi altro uomo, che al contrario di lui avrebbe saputo risolvere la questione in modo attivo e decisionista, mentre lui si sente un topolino messo all’angolo da un gatto, uno che ha abdicato ai suoi valori, alla giustizia, alla sua dignità, poiché sopraffatto da un’ossessione amorosa che lo rende inerme. Si sente quindi meno di un uomo, ed è esattamente lo stato in cui si sente chi incappa in questo tipo di rapporti, anche se ovviamente può valere allo stesso modo per uomini e per donne.
Una bizzarra nota di colore: mentre sto rileggendo la bozza di questo post, fuori dalla finestra qualcuno sta cantando proprio…Malafemmena!
Cosa è una relazione tossica?
Si può definire tossica una relazione quando, sebbene animata da un sentimento forte, totalizzante, assoluto, non attinge alla sfera del bene bensì a quella del male. Ovvero quando l’odio e il disprezzo per l’altra persona e per se stessi sono in realtà i sentimenti prevalenti, nonostante si creda di parlare d’amore.
Quello che fa la differenza, è che la persona coinvolta in una relazione tossica cade in uno stato bipolare già durante la relazione, non dopo la sua fine. E’ come una marionetta mossa a comando: a contatto con il partner diventa viva, brillante, interessata, piena di emozioni, mentre in sua assenza si accascia al suolo, inizia a perdere colori e fantasia, dato che viene meno quello che è diventato il suo unico interesse alla vita.
Il meccanismo “incaprettante” è che la persona sofferente fa coincidere i suoi momenti “up” con la presenza dell’altro e quindi pensa che l’altro rappresenti la vita stessa. E che per quanto bastardo, anaffettivo, immeritevole, egli sia Vita, e tutto il resto sia semplicemente Non Vita, una landa grigia e desolata che non vale la pena di percorrere. Soffrire quindi, diventa cento volte meglio di vivere in un limbo incolore e insapore che non riesce ad attivare più nessuno dei nostri sensi.
Gli amici, gli altri, proveranno a farci notare il nostro stato di vampirizzazione, ma le loro parole non sortiranno alcun effetto. Riascoltatevi Per Elisa di Alice (anche qui ci si interroga se Elisa sia una donna o si parli di droga): Fingere fingere fingere non sai più fingere, senza di lei, senza di lei ti manca l’aria.
Perché si entra in una relazione tossica
Non voglio fare il Recalcati dei poveri e non ho alcuno strumento per approfondire meccanismi psicologici, tranne quello della mia sensibilità ed esperienza, quindi limitatevi a dare alle mie parole il giusto peso.
Non abbiamo consapevolezza del tranello che la natura ci sta tendendo, ma guarda caso, in quel momento incontreremo una persona che in tutte le altre fasi della nostra vita avremmo reputato inadatta, incompatibile, impensabile, e le proietteremo addosso senza saperlo tutto il proiettabile: echi di scompensi genitoriali, sogni adolescenziali, fantasie di grandezza, voglia di riscatto, desideri di una vita piena e fluorescente (avevo già parlato di Tsunami Funzionale).
Una persona che ci approva, che ci vuole bene per quello che siamo, non ci spingerebbe a cambiare tutto di noi, a voler essere migliori di quello che siamo, e il nostro demone interiore sa che in quel momento non possiamo rintanarci in una comfort zone. E allora partiamo all’inseguimento pazzo della persona sbagliata, ignorando che stiamo partendo all’inseguimento di noi stessi, anzi, di un noi stessi migliore, delle nostre potenzialità inespresse, di quella evoluzione che per lacune precedenti e irrisolte, ora sentiamo la necessità di dover raggiungere nel più breve tempo possibile e, oh cazzo, abbiamo finalmente trovato una Bellissima Scorciatoia.
Come si esce da una relazione tossica
Sostanzialmente se ne esce quando lo smalto rosso acceso della nostra ossessione comincia a scolorirsi sotto i colpi d’ascia della realtà, e iniziamo a prendere in considerazione l’idea di riuscire a poter vivere senza. Anzi, di non riuscire più a vivere “con”. E’ difficile, perché come ho detto prima, quando siamo in una relazione tossica tutto il resto del mondo ha perso i colori e i sapori, quindi non sappiamo più dove andare e ci sembra di dover ricostruire il mondo da zero, temiamo di non riuscire più a trovare qualcosa che valga la pena di essere vissuto.
Non buttiamo via tutto
L’importante è non buttare via il bambino insieme all’acqua sporca. Cioè non è che siccome ci siamo liberati da un rapporto intenso ma sofferente poi dobbiamo andarci a gettare tra le braccia del primo venuto, verso il quale proviamo magari solo una tiepida simpatia. Capiterà, sono sicuro che capiterà, ma dobbiamo innanzitutto focalizzare NON SOLO le cose che non vogliamo da un rapporto, ma anche quelle che vogliamo o abbiamo imparato a volere.
Qualcuno per cui essere migliori, ma spontaneamente, senza travaglio, senza quel disgustoso sottofondo di inadeguatezza o di competizione, senza voler diventare ciò che non siamo. Dobbiamo rimanere quello che siamo, semplicemente nella versione più evoluta, potenziale, sviluppata. Ci dobbiamo mettere in testa che siamo già Abbastanza, ma questo non significa che non possiamo tendere a diventare il miglior Abbastanza possibile. Il miglior Abbastanza del mondo.
Cover photo credits: Cetys.mx