A tutti noi è capitato di aver fatto da chiodo scaccia chiodo, ovvero di essere stati per qualcuno una sorta di primo soccorso dopo una cocente delusione amorosa. Ci siamo sorbiti centinaia di ore di lamentele, pianti, rabbia, dedicati a quell’ex così stronzo, immaturo, irragionevole, narcisista, ed è un miracolo se dopo tutta questa manipolazione non siamo andati sotto casa dell’ Immondo a spaccargli le gambe per aver ridotto in tale pietoso stato una sì delicata principessa. Preciso che il discorso è totalmente unisex, quindi indifferentemente applicabile sia a uomini che donne.
Abbiamo fatto miracoli dicevamo, in quella sala operatoria che è l’amore, per risanare le ferite ancora aperte, porgere fazzoletti di seta per asciugare le lacrime calde, per costituire un’alternativa vera ed essere visti come tale. E ce la siamo inevitabilmente presa in cool, seguendo le tre fasi che sto per elencare.
Fase 1: la competizione con l’ex
Fase 2: il dubbio
Nella seconda fase, inizieremo a dubitare della veridicità dei racconti e inizieremo a dirci che forse lo stronzo non era poi così stronzo e che la principessa non era poi così principessa. Sostanzialmente avremo iniziato a comprendere più profondamente il nostro ruolo di scacciachiodi e l’impossibilità di essere ciò che volevamo. Siamo stati “scelti” in quanto radicalmente diversi dall’ex che ha causato sofferenza, e non per quello che siamo. Questo significa che dopo essersi ristabilita, l’altra persona tornerà piano piano a cercare quello che voleva prima del trauma, dato che chi nasce tondo non muore quadro.
Fase 3: la consapevolezza
Nella terza fase, l’opera di vampirismo sarà compiuta e ci sentiremo più aridi anche noi, come ben descritto da Lucio Battisti: “tutte le occhiate maliziose che davi eran semi sparsi al vento, qualcosa che perdevi, e m’inaridivi e m’inaridivi e m’inaridivi”. Chi avrà dopo la sfortuna di incontrarci in un momento così delicato, potrebbe dover rifare tutta la trafila che abbiamo fatto noi, come se le storie fossero “tessere giganti di un domino che non avrà mai fine” (De Andrè).
Sostanzialmente occorre accettare che la vita relazionale delle persone è come una melodia musicale: ci sono alcune note fondamentali che la definiscono, e delle note intermedie di abbellimento (nelle scale blues si chiamano blue notes) che servono a riempire il pentagramma fino alla prossima nota fondamentale.
Si perde acqua e sapone
Conclusioni
E quando un giorno ci sentiremo noi in quella situazione, quando inizieremo a dirci che “dopo tanto dare vorremmo prendere”, sarà meglio farci un esame di coscienza. Ovvero comprendere se la persona con la quale ci interfacceremo dopo cerca come noi un apostrofo rosa (la famosa situationship) o sta cercando il Tutto che non siamo pronti o che non vogliamo dare. In quest’ultimo caso, facciamo il possibile per parlare chiaro, per essere onesti (soprattutto con noi stessi) e per spezzare il “domino di tessere giganti che non avrà mai fine”.
Più concederemo spazio alle ambiguità e più ne riceveremo in seguito, arrivando a inventare grottesche caricature del sentimento, invischiate tra autogiustificazioni, sfumature sempre più indistinguibili e sbavate, alzate di spalle vigliacche e un avvizzimento del cuore, che col tempo diventerà una zona grigia cronica piantata nel petto, decretando la nostra vecchiaia emotiva più di un tubetto di Cukident sulla mensola del bagno.