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uscire dal tunnel

Non arredarti il tunnel

Marzo 6, 2016

Se non riesci a uscire dal tunnel, arredalo. Così recitava una battuta di Geppi Cucciari, che adoro ripetere. Di arredatori e arredatrici di tunnel ne ho incontrati parecchi, sono coloro che pur consapevoli di vivere una situazione (non parlo solo di quelle sentimentali) senza uscita, claustrofobica, dannosa, invece di pensare a come uscirne pensano a come riuscire a conviverci al meglio.


Per alcuni il tunnel è rappresentato da una situazione di coppia, ma potrebbe esserlo anche la solitudine, o qualcosa legato al lavoro, alla città dove si abita. Non tutti riconoscono immediatamente di esservi entrati (anche perchè mica entri in un tunnel consapevolmente: uno se ne accorge solo quando si trova profondamente al suo interno) ma il problema è piuttosto cosa fare quando ce ne si rende conto.

Tre modi  di affrontare il tunnel

A quel punto esistono tre modi di agire secondo me: abbandonare il tunnel il prima possibile, arredarlo con cura per sopravvivere o, come faccio io, distruggere il tunnel.

Distruggere il tunnel vuol dire smettere di arredarlo, far marcire tubature e intonaco, non cambiare le lampadine fulminate, fino a che uscirne sarà questione di vita o di morte. Appena realizzo davvero di essere entrato in una cosa dannosa e senza uscita inizio a lasciarmi morire, mi privo delle cose piacevoli e confortanti, elimino i sollievi, taglio i ponti con gli amici, fino a che sarò autocostretto a dover fare le valigie.

arredare il tunnelSono lento, non è un approccio decisionista il mio, ma ho bisogno di arrivare a vedere con grande chiarezza la situazione dove sono senza abbellimenti, per non dover più dire “ma in fondo non si sta poi così male, ma forse fuori è peggio”.  E’ un approccio un po’ masochista, si perde tempo prezioso, ma alla fine se ne esce.

Chi invece arreda il proprio tunnel rischia di non uscirne davvero mai
, trova per terra gingilli, pupazzetti, piccole distrazioni, cose che lo tengano occupato e ha quel maledetto sorriso fragile di chi sa di raccontarsela e di raccontarla al prossimo.

Provare a raccontare a queste persone dell’esistenza del tunnel è difficile: possono chiudersi in loro stesse, sminuire la cosa, arrabbiarsi o piangere. Ma qualunque reazione avranno, il giorno dopo continueranno a raccattare cartoline e quadretti da appendere alle pareti, e te le faranno pure vedere orgogliosi, sempre col sorriso fragile di chi si sta autoconvincendo.

Relazionarsi con i tunnelizzati

Anche a livello di relazioni è importante comprendere se la persona che frequentiamo è attualmente tunnelizzata, e qual è il suo approccio alla cosa.

Se questa persona è in fase di arredamento, accetterà con piacere una disimpegnata amicizia sentimentale in grado di mettere un po’ di benzina nella sua macchina in riserva. Occorrono prudenza e chiarezza, perchè questa persona potrebbe non capire che tu sei “arredamento”, ma scambiarti per l’uscita.

Se questa persona è invece in fase di distruzione del suo tunnel probabilmente cercherà di rifiutare distrazioni che le tolgono visibilità sulla situazione generale, e occorrerà accettarlo con maturità e senza fare facili pressioni se non siamo già diventati dei vampirelli.

Sì ma allora non si scopa mai, qualcuno potrebbe obiettare. Non è assolutamente vero: fino a che si è sempre chiari, si condivide una lunghezza d’onda e non saltano fuori disequilibri, puoi far impallidire il Divino Marchese con gesta erotiche da tramandare ai posteri. Semplicemente bisogna sempre porre attenzione sul rispetto e sull’evitare sofferenza a noi e agli altri.

Come riconoscere di essere nel tunnel

Non è facile per niente, ma ci sono dei segnali che possiamo ascoltare. Precisamente dobbiamo notare quando smettiamo di investire. Quando non compriamo più un quadretto per la nostra casa, quando in coppia non spingiamo per fare qualcosa di nuovo, quando in città si apre un nuovo spazio che ci piace e non andiamo a curiosare. Non dico che questi siano sintomi, ma potrebbero essere piccoli impalpabili segnali del fatto che non stiamo più risalendo ma che ci siamo fermati o stiamo scendendo.

A quel punto guardiamoci dentro e vediamo come stiamo reagendo a questo: cerchiamo altre piccole cose che ci tengono impegnati ma che non cambiano la vita, o stiamo invece facendo micropassi che potrebbero darci inediti sbocchi?

Se non ci sentiamo pienamente a posto e non stiamo investendo su cose che alla lontana potrebbero portare dei cambiamenti, forse possiamo considerare l’idea di fermarci a comprendere dove siamo e dove vogliamo andare e vedere se queste due cose possono coincidere o meno.


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